Un saggio celebra lo "stile Tour Eiffel". Dall’arte al design, un fenomeno immortale
di ALBERTO MATTIOLI
La vecchia signora (di ferro, come la maggior parte delle vecchie signore) non passa mai di moda, anche perché le mode le crea, o almeno le ispira. La Tour Eiffel è uno degli edifici più famosi del mondo e certamente il più famoso di Parigi: paradossalmente, l’unico a non avere una destinazione pratica. C’è perché c’è. «Il lusso della Torre è di non servire a nulla, è di essere stata creata per essere guardata», spiega il semiologo Odilon Cabat.
E tanto la si è guardata che è diventata un’icona, un marchio, un simbolo. Forse non è vero che non serve a nulla. Ha ispirato, ispira e probabilmente ispirerà generazioni di artisti, letterati, designer, stilisti, fotografi, pubblicitari e venditori di souvenir, abusivi e non. Un successo planetario, le cui tracce si trovano dove meno te l’aspetti. Come documenta un bel libro di Martine Vincent appena uscito, «Le style Eiffel» (Editions de La Martinière), insieme atto d’amore per la gigantessa metallica e inchiesta sul suo ruolo di grande mito.
Prendete gli artisti. Una celebre petizione cerca di impedirne la costruzione. La firmano, fra gli altri, Guy de Maupassant, Alexandre Dumas figlio e Charles Garnier. Per Maupassant «è uno scheletro sgraziato e gigantesco»; per Léon Bloy, «un lampadario veramente tragico»; per Huysmans «il campanile della nuova chiesa nella quale si celebra il servizio divino dell’alta banca». Ma Gaugin la difende e Seurat, Dufy e il doganiere Rousseau la dipingono, mentre «Les mariés» di Chagall volano verso il futuro sotto la sua ombra protettrice(e blu!)...
E poi la Tour è la mamma di tutta l’architettura industriale. L’attuale passione per le vecchie fabbriche con ghise e acciai in vista trasformate in locali fighetti o loft trendy nasce, alla fine, lì. Del resto, Eiffel nella sua Torre ci abitava, all’ultimo piano, sospeso fra il cielo e Parigi, come uno scienziato pazzo di Jules Verne (non a caso, a Verne è intitolato il più chic dei tre ristoranti della Torre). Ma già incombe il design. C’è una stilografica-Eiffel griffata Montblanc, versione chic degli infiniti oggetti ispirati alla Torre, dalle riproduzioni in scala ai pennini d’inizio Novecento, dalla Torre-orologio alla Torre-lampadario, franando fino al kitsch più devastante (immancabile, la Torre nella palla con la neve) o alla pubblicità del camembert. Se la Tour vuol dire Parigi, Parigi vuol dire moda: ecco il vestitoTorre di Versace (primavera-estate 1990), la scarpina con il tacco-Torre di Dior (autunno-inverno 2008-9), perfino i collant-Torre (slanciano!) di JeanPaul Gaultier (autunno-inverno 2011). Mentre fra i molti spot alla sua ombra spicca quello, recentissimo, per il profumo maschile di Dior, con Jude Law che dà appuntamento alla sua bella all’alba al Trocadéro: l’ora è scomoda, ma la vista sulla Tour magnifica.
Sempre di moda, intramontabile. E allora non stupisce che la polizia abbia di recente ingabbiato quattro cinesi che rifornivano di Eiffelline-souvenir i venditori abusivi e scoperto il loro deposito clandestino. Stupisce invece che lì ci fossero 270 tonnellate di Torri taroccate. Sì, avete letto bene: 270 tonnellate. E questo nemmeno Eiffel avrebbe potuto immaginarlo.
E tanto la si è guardata che è diventata un’icona, un marchio, un simbolo. Forse non è vero che non serve a nulla. Ha ispirato, ispira e probabilmente ispirerà generazioni di artisti, letterati, designer, stilisti, fotografi, pubblicitari e venditori di souvenir, abusivi e non. Un successo planetario, le cui tracce si trovano dove meno te l’aspetti. Come documenta un bel libro di Martine Vincent appena uscito, «Le style Eiffel» (Editions de La Martinière), insieme atto d’amore per la gigantessa metallica e inchiesta sul suo ruolo di grande mito.
Prendete gli artisti. Una celebre petizione cerca di impedirne la costruzione. La firmano, fra gli altri, Guy de Maupassant, Alexandre Dumas figlio e Charles Garnier. Per Maupassant «è uno scheletro sgraziato e gigantesco»; per Léon Bloy, «un lampadario veramente tragico»; per Huysmans «il campanile della nuova chiesa nella quale si celebra il servizio divino dell’alta banca». Ma Gaugin la difende e Seurat, Dufy e il doganiere Rousseau la dipingono, mentre «Les mariés» di Chagall volano verso il futuro sotto la sua ombra protettrice(e blu!)...
E poi la Tour è la mamma di tutta l’architettura industriale. L’attuale passione per le vecchie fabbriche con ghise e acciai in vista trasformate in locali fighetti o loft trendy nasce, alla fine, lì. Del resto, Eiffel nella sua Torre ci abitava, all’ultimo piano, sospeso fra il cielo e Parigi, come uno scienziato pazzo di Jules Verne (non a caso, a Verne è intitolato il più chic dei tre ristoranti della Torre). Ma già incombe il design. C’è una stilografica-Eiffel griffata Montblanc, versione chic degli infiniti oggetti ispirati alla Torre, dalle riproduzioni in scala ai pennini d’inizio Novecento, dalla Torre-orologio alla Torre-lampadario, franando fino al kitsch più devastante (immancabile, la Torre nella palla con la neve) o alla pubblicità del camembert. Se la Tour vuol dire Parigi, Parigi vuol dire moda: ecco il vestitoTorre di Versace (primavera-estate 1990), la scarpina con il tacco-Torre di Dior (autunno-inverno 2008-9), perfino i collant-Torre (slanciano!) di JeanPaul Gaultier (autunno-inverno 2011). Mentre fra i molti spot alla sua ombra spicca quello, recentissimo, per il profumo maschile di Dior, con Jude Law che dà appuntamento alla sua bella all’alba al Trocadéro: l’ora è scomoda, ma la vista sulla Tour magnifica.
Sempre di moda, intramontabile. E allora non stupisce che la polizia abbia di recente ingabbiato quattro cinesi che rifornivano di Eiffelline-souvenir i venditori abusivi e scoperto il loro deposito clandestino. Stupisce invece che lì ci fossero 270 tonnellate di Torri taroccate. Sì, avete letto bene: 270 tonnellate. E questo nemmeno Eiffel avrebbe potuto immaginarlo.
tratto da Corriere della Sera